Il moto sinuoso e fluente della corrente di colori nella quale è trasportata la figura umana, avvolta in una bolla protettiva come un habitat fetale, scandisce il motivo chiave dell’opera e la carica di rimandi e allusioni, che realizzano una realtà stratificata e plurima.
L’elogio ernstiano risalta come un inno alla capacità semantica delle forme e dei simboli, collocati in una specie di limbo comunicativo fra realtà e sogno.
Se l’immagine, condizionata dall’assurda logicità del sogno che collega la razionalità all’inconscio – alternando pause di abbandono a momenti di lucido controllo – tende ad una surrealità onirica, c’è spazio però anche per l’ironia e per l’assunzione del sogno stesso come gioco liberatorio che sta oltre o, forse, precede persino la coscienza.
L’espressione autentica ed ingenua delle onde colorate, unite a formare un fluido locomotore in armonia con il flusso dell’universo, segue un’impronta più rousseauniana nella concezione estetica dell’artista-libero-creatore-individuale, svincolato da norme, imposizioni, volontà esterne, univoco arbitro delle proprie scelte.
La costruzione della struttura nel suo insieme si affida allo spiazzamento prospettico per suscitare nello spettatore il dubbio, tramite la stimolazione di percezioni inconsuete.
All’atmosfera sospesa e silenziosa da “zingara addormentata” si aggiunge il fascino dell’ignoto, espletato dal potere trasfigurante del colore.
Spazio e tempo sembrano amalgamarsi in un’unica, misteriosa materia senza fine né inizio, priva di punti cardinali, quasi a denunciare la scoperta di una realtà interiore fatta di eternità per tutti: la realtà dell’adesso, inondata di vividi, pulsanti colori.