(Questo articolo è il seguito del post Intervista con lo Sconosciuto – prima parte)
Percorrendo progressivamente nella lettura dei tre dipinti dell’ultimo ciclo, come in un viaggio virtuale, si ha l’impressione di essere accompagnati in un flusso di espansione e contrazione. Puoi spiegare meglio questo andamento?
Sì. L’idea o l’effetto che scaturisce da questi tre quadri, o meglio, dal periodo di ricerca inerente a quel tempo di realizzazioni, penso sia il frutto spontaneo del mio percorso di studio e riflessioni, della pratica pittorica, ma anche una conseguenza della mia evoluzione come individuo, oltre che come pittrice. Non l’avevo premeditato. Nonostante ciò, mi piace molto pensare che visitando una dopo l’altra le tre opere, si possa ricevere di riflesso la sensazione di essere parte di un movimento, assorbiti in un ritmo che risucchia-rilascia, che oscilla da dentro a fuori… E ancora dentro e fuori… Non è forse come respirare? Certamente è un’azione che tutti pratichiamo, anche se non sempre consapevolmente, e l’idea di coinvolgere con il mio lavoro in un’espressione così vitale e naturale mi entusiasma.
In che modo l’ultimo quadro andrebbe letto di conseguenza al primo?
In realtà non esiste un vero e proprio “senso di marcia”. È’ come nello sviluppo spirituale: ci si sperimenta, si cresce andando avanti, poi ci si abbatte, si cade… Tornando indietro e da ogni punto dal quale ripartiamo, abbiamo una consapevolezza diversa, ci scopriamo cambiati. In merito al ciclo “Occhi per Vedere” posso narrare il mio senso, la storia che contraddistingue la sua nascita, per me. “Mausoleo e Celebrazione” è una perlustrazione di uno stato interiore; descrive un punto preciso dentro di noi, remoto ma presente che, nonostante il buio dell’opprimente dolore, ci permette di intravedere la speranza, la luce, anche se confinata in un miraggio lontano e separato dal quotidiano vivere. La nostra parte Divina aleggia vibrante, sovrasta quel luogo di sepoltura delle proiezioni che per così tanto tempo hanno deturpato le nostre virtù, l’autostima, il potere decisionale e molto altro. Con la presa di coscienza di un tale dissacrante atteggiamento, finalmente ci accorgiamo di possedere virtù ed abilità riconosciute negli altri e possiamo adoperarle in noi stessi. Si tratta di un ritirare e celebrare al tempo stesso nell’Uno, ciò che è stato diviso in due e più parti. Questo quadro affronta un’analisi della sofferenza sì, ma apre anche le porte verso nuove soluzioni… Per attivare quella liberazione dalla prigione della paura e dell’incapacità. Il Trittico descrive invece una visione già più lucida e consapevole del Divino interiore. La Sacralità è manifesta in tutte le sue forme esteriori e nelle opposte polarità insite nelle manifestazioni stesse, come nel comportamento umano. Ora il punto è: riconoscere le polarità ed unirle. Accogliere, accettare l’andamento altalenante del percorso evolutivo, vagliando magari anche l’ipotesi di reincarnazione dell’anima in corpi e vite diverse. L’andare e il venire, il pieno ed il vuoto, il nitido e lo sfumato, il definito e il non, sono parti integranti di un processo che porta all’unità d’equilibrio.
(A questo proposito avrei un aneddoto legato alla scia della lumaca che… beh ma, non oggi. Magari… Potresti dedicargli un articolo sul tuo blog!? Perché no? Vedremo).
Tornando a noi… E ricollegandomi ai tagli di alcuni soggetti dei miei quadri… Tagliare delle parti significa per me offrire uno stimolo a considerare un nuovo punto di vista. Ciò include l’atto dell’immaginare, oltre che il lento scivolare da uno stato consolidato ad uno indefinito e interrogativo. Il messaggio più amplio che ne possiamo trarre è quello di considerare ogni evento, manifesto e non, frutto di Un Divino Cosmico che collega tutte le cose e le permea.
Da questa considerazione si evolve la forma dell’ultimo dei tre lavori del ciclo?
In “Occhi per Vedere” ho cercato di descrivere una dimensione di ascolto profondo, il ritorno a casa di quelle sensazioni difficili da decifrare verbalmente. Ho tentato di dare una veste visiva a quello che per me significa ritrovarmi in una condizione di abbandono e rilassamento, di completo disarmo, quella passività in cui il corpo e la mente o, più in generale, i nostri strumenti fisici adibiti alla motorietà, si acquietano per lasciare spazio agli strumenti sottili. Quando il respiro si calma e le onde cerebrali passano ad uno stato Theta. Per intenderci, le Theta sono quelle onde cerebrali che producono nel nostro corpo una sensazione di benessere, di pace profonda che stimola il pensiero creativo, favorendo anche il rilascio naturale di endorfine, un antidoto spontaneo del corpo per alleviare il dolore e migliorare l’umore. Volevo dare vita a quella che per me rappresenta una soave carezza, l’attimo di gratitudine e di amore che ricevo e che emano in un “habitat rilassato”. Questo stato mi rende conduttore di vibrazioni vitali, benefiche e positive, non solo per la mia persona. L’acqua è l’elemento che più degli altri ha il potere di farmi sentire questa carezza. In particolare, ho provato a descrivere quello che nel mio corpo fisico ed energetico avverto quando mi immergo in mare, lasciandomi trasportare inerte dalle onde. I suoni esterni si allontanano, aiutandomi all’introspezione di quelli interni, il cuore, il flusso sanguigno, il respiro. Galleggiando, mi perdo nella quiete della leggerezza di un corpo senza peso, lontano anni luce dalla materialità in cui siamo rinchiusi. Protezione.
Questo è per me il luogo della preghiera. Un silenzio ovattato mi avvolge e provo la dolce sensazione di riposo dentro una grotta, fuori dal tempo, nel rifugio dell’Anima. Lì trovo la mia stanza dello Spirito.
Quindi il quadro appena descritto può considerarsi di buon augurio per chi lo osserva?
Sì. In verità tutti e tre lo sono ma nell’ultimo, più da vicino, il mio intento è stato quello di dipingere-dichiarare, tirando in causa tutti i sensi, la riconciliazione con quella pura, amorevole brillantezza che tanto ricerchiamo nelle cose esterne ma che alberga in ognuno di noi.