Dovunque esiste una pennellata di colore, o si leva una nota musicale,
o una grazia di forme si rivela, lì c’è un invito rivolto al nostro amore(Rabinrdanath Tagore)
Fermarsi a pensare, riflettere, trascorrere del tempo con se stessi, per combattere le tante distrazioni del nostro quotdiano. Concentrarsi e, successivamente, meditare… Il Dharana, uno stato di concentrazione, e il Dhyana, la meditazione stessa, sono tra i concetti più importanti delle scuole ed esperienze yogiche antiche, portatori di enormi benefici agli uomini di qualunque epoca. Alcune tecniche di meditazione, come ad esempio la meditazione buddhista, impiegano oggetti esterni per aiutare la concentrazione ed indurre pensieri e sensazioni altrimenti inaccessibili. Con il desiderio di rispettare queste tradizioni, arte e meditazione propone un incontro tra due esperienze apparentemente distanti seppur affini come l’arte, nella fattispecie attraverso i quadri di Giovanna Pieralisi, e la meditazione yogica per immagini.
Spesso, quando entriamo in un museo, in una galleria o più in generale in un luogo d’arte, proviamo una sensazione di soggezione e d’inadeguatezza, avvertendo indirettamente una distanza tra chi osserva l’arte e chi la propone, ad esempio tra il pubblico e l’artista o l’istituzione che lo rappresenta. Arte e meditazione consiste in una serie di incontri che tendono invece a svincolare lo spettatore dal ruolo di fruitore passivo dell’opera d’arte, rendendo la sua partecipazione essenziale all’esperienza stessa. Si coinvolge chi osserva, non solo ascoltando ciò che il suo intuito rivela, ma conferendo importanza e considerazione al suo personale sentire che viene condiviso nel gruppo.
In tal senso arte e meditazione rappresenta un vero e proprio esercizio di Yoga, nell’accezione più vedica ed originale del termine, ovvero unione. È un momento di condivisione e di connessione con se stessi e con gli altri che si svolge su più piani. In primis, porta a diretto contatto artsta e spettatore, annullando ogni distinzione ed assegnando ad entrambi il ruolo di protagonista. Inoltre, si crea un raccordo emotivo tra gli spettatori stessi che entrano in connessione mettendosi in gioco e con coraggio condividono le proprie idee e sensazioni. Infine, permette ad ognuno di noi, non-più-spettatore, di accedere a pensieri ed emozioni profonde del proprio io, unendo immagini e sensazioni in modo inaspettato ma al tempo stesso rivelatorio.
In arte e meditazione è proprio la condivisione a svolgere un ruolo centrale, portando in contatto impressioni, sensazioni e punti di vista diversi al fine di far nascere in ognuno dei partecipanti spunti di riflessione più profondi ed inaspettati rispetto a quelli che potremmo provare come fruitori individuali e passivi dell’arte. Quante volte, infatti, abbiamo avuto la fortuna di accorgerci che le intuizioni delle persone che ci sono vicine mettono in moto pensieri e sensazioni di cui non ci credevamo capaci!
Questi incontri, al tempo stesso, rappresentano anche una pratica di riequilibrio delle attività cerebrali, delle cui capacità e del cui squilibrio non siamo consapevoli il più delle volte. Nella nostra quotidianità, infatti, siamo portati ad utilizzare prevalentemente la parte razionale del nostro io, che fa capo all’attività dell’emisfero sinistro, sede dei modelli verbali, logico-concettuali e di calcolo. Con arte e meditazione, invece, si dà un inizio ad un processo con il quale si va ad integrare la nostra percezione razionale con la sua controparte emotiva, intuitiva e creativa, quella facente capo all’attività dell’emisfero destro, sede dell’immaginazione e del pensiero emotivo.
Con arte e meditazione ci esercitiamo ad un sentire profondo, dedicando del tempo a noi stessi, permettendoci di trovare uno spazio per ascoltare le nostre sensazioni, aprendoci ad una disposizione all’accettazione. Possiamo indagare la nostra sensibilità, accettando anche il rischio di sentirci esposti e vulnerabili, parlando di sentimenti ed emozioni che facciamo difficoltà a far emergere nella nostra quotidianità, essendo liberi di provare e provocare nostalgia, impotenza, imbarazzo o commozione.
È proprio questo lasciarci andare, questa vulnerabilità che ci permette di entrare in uno stato di coscienza espanso, di connetterci a qualcosa più grande di noi, di sperimentare amore, bellezza e profondità di significato. Di aprirci, quindi, alle forze dello spirito.
Le persone incapaci di sentirsi vulnerabili sono emotivamente morte: la stasi emotiva blocca il circuito di intelligenza intuitiva ed istintuale
(Alexandra Pope)
Senza vulnerabilità c’è scollegamento, una mancanza di contatto con sé e con gli altri. Accettando la nostra sensibilità e la nostra vulnerabilità, ci poniamo in ascolto e rilasciamo tensione e ci affidiamo al Prana, creando terreno fertile per quella piantina in noi, portatrice di pace interiore, che è pronta a germogliare.